Debranding: perché le aziende scelgono di semplificare?

Lorenzo Rossi

Lorenzo Rossi

debranding

Negli ultimi anni i Brand hanno cominciato a fare rebranding tendendo a semplificare la propria immagine a partire dal logo: è il fenomeno del debranding.

Ma perché sta accadendo? Quali sono le cause di questo fenomeno ormai diffuso e dilagante? In quali condizioni conviene pensare ad un Debranding?

Connettiamo ‘sti dots.

Perché molti puntano sul rebranding del proprio logo

Le ragioni per cui un logo può cambiare possono essere molteplici. Nei casi di rebranding di cui si è occupata Larin Group, ad esempio, è capitato che l’obiettivo fosse rinfrescare l’impatto visivo, rendere graficamente coerente ogni touch point coi clienti, comunicarsi come realtà al passo coi tempi o addirittura in anticipo, e tanti altri.

Rientrano in questi casi i lavori che abbiamo realizzato per rinnovare la comunicazione visiva di Bauunternehmung, sull’immagine coordinata di Zerynth o per il fighissimo logo del Consorzio Marmolada-Rocca Pietore.

Tuttavia, dietro ad un cambiamento così impattante (sull’identità, e a cascata sul merchandising, sulla strategia comunicativa ecc.) c’è, o almeno, dovrebbe esserci, un sostanzioso plico di motivazioni guidate da un serio lavoro strategico fatto a monte. Molto spesso, infatti, soprattutto le realtà più esili tendono a ragionare in maniera fallace: prima si rifà il logo, poi… chissà.

Non è così che funziona se l’obiettivo è crescere. Infatti, tra le possibili ragioni che, in linea generale, conducono le big companies a fare rebranding troviamo:

  • Adeguarsi all’innovazione: è il caso di un’azienda che cambia il proprio logo come parte di un più ampio sforzo di rebranding completo, per riflettere meglio una nuova mission aziendale o direzione.
  • Evolvere per stare al passo coi tempi: nel corso degli anni, infatti, il logo di un’azienda deve evolversi per stare al passo con le tendenze del design, delle tecnologie, della comunicazione, o per rappresentare meglio i valori e gli obiettivi dell’azienda.
  • Fusioni e acquisizioni: quando due aziende si fondono, o una acquisisce un’altra, magari per raggiungere nuove fette di mercato, dotarsi di un nuovo logo sembra essere una buona idea. 
  • Espansione in nuovi mercati: un’azienda che si sta espandendo in nuovi mercati può cambiare il proprio logo per rivolgersi meglio al nuovo pubblico.

Comunque, a prescindere dalle ragioni che sostengono la scelta di rifarsi il look, negli ultimi anni c’è stata una tendenza alla semplificazione e al minimalismo da parte di – praticamente tutte – le big internazionali.

Ecco perché, forse, oltre che parlare di rebranding è fondamentale comprendere il fenomeno del debranding. 

Definizione di debranding: che cos’è?

Per Debranding si intende, in generale, un processo di trasformazione/rimozione o del marchio o della tipografia, con l’obiettivo di rendere un logo più neutrale, semplice e minimal.

Esempi di debranding relativo al marchio? Come non ricordare quello di Starbucks e Coca-Cola.

Esempi di debranding relativo alla tipografia? Balenciaga su tutti, ma come leggerai riguarda moltissimi brand del settore della moda, della finanza e della tecnologia.

Rebranding o Debranding? Cosa sta succedendo negli ultimi anni

Fai un test: prova a mettere uno accanto all’altro i loghi di 100 società finanziarie, tecnologiche e del fashion. Fatto? Ecco, noterai sicuramente che a colpo d’occhio non si riesce a distinguere un logo da un altro: sembrano tutti dello stesso settore, fatti tutti dallo stesso grafico (oltretutto pure un po’ svogliato, diciamolo).

Di contro, notiamo anche il proliferare di brand con loghi che presentano il solo Marchio: quindi solo “simboli”, senza alcun nome, proprio come ha fatto Nike abbandonando la tipografia “NIKE” e tenendosi solamente il famoso “baffo” (o anche come Peugeot, Toyota, McDonald’s, Pepsi). Ma qui si parla di una tendenza ormai ben nota e nata più di 10 anni fa.

Il fenomeno più recente, che ha preso piede intorno al 2017-2018, riguarda essenzialmente il primo caso: sembra che molte aziende abbiano deciso che essere unici fosse quasi un “ostacolo” e che fosse meglio conformarsi agli standard, spacciando la semplificazione per innovazione. Quindi, via i Marchi, lasciamo solo la tipografia.

Questa tendenza ha preso il via nel settore della moda, dove molte aziende di fama mondiale hanno abbandonato i loro Marchi in favore di nuovi font sans serif generici e simili a quelli di tutti gli altri.

Se a ciò si aggiunge la preferenza di alcuni brand di optare per il bianco e nero, si ottiene un vero e proprio mare di logotipi uguali tra loro, che è l’opposto di ciò che i loghi dovrebbero essere. Ma la colpa non è né di grafici svogliati né di marketing manager astigmatici. 

La “colpa”, se c’è, è proprio del font che tutti stanno adottando: il sans serif, che sta apparentemente contraddicendo uno dei principi più importanti del branding.

La differenziazione.

Ma qual è la differenza tra sans serif e gli altri font?

Le piccole caratteristiche alle estremità dei tratti di alcuni font sono note come serif. I font privi di queste piccole caratteristiche sono chiamati “sans serif” (“sans” è “senza” in francese, dicono dalla regia).

Quindi, i sans serif sono privi di alcune delle caratteristiche anatomiche tipiche (serifs, spurs, swashes e altri elementi). Per questo motivo, questo carattere manca del livello di dettaglio e di differenziazione del design che i caratteri serif possono avere.

Ma allora, gettandosi tra le braccia del debranding, il marketing non rischia forse di essere condannato all’omologazione?

Vantaggi e svantaggi dei debranding “di oggi”

La semplicità dei caratteri sans serif li rende leggibili e versatili, ma ha, come ho accennato, i suoi svantaggi.

Senza dettagli e caratteristiche aggiuntive, i caratteri sans serif hanno molte meno opzioni di differenziazione e, sebbene sia possibile variare elementi come l’altezza e l’inclinazione, i font senza serif hanno semplicemente meno opzioni su cui lavorare rispetto ai loro simili più intricati.

Il risultato è ovviamente che i loghi si somigliano molto. Ma lo scopo di un logo non è forse quello di essere immediatamente riconoscibile, diverso, memorabile e, se possibile, fare riferimento ai valori del brand?

Quali sono le possibili ragioni di questa tendenza al debranding e all’adozione dei sans serif?

Vediamo.

1 – C’era una volta (e c’è ancora) la praticità

Se chiedessi a certi branding specialist ti direbbero che i sans serif hanno vantaggi pratici senza paragoni. Questi caratteri, più puliti e leggibili, si adattano meglio a tutta una varietà di supporti digitali e, non si può negare, funzionano particolarmente bene online.

È quasi romantico pensare che questi font siano nati per esigenze pratiche e che siano tornati “di moda” per lo stesso motivo: in passato, essendo più semplici, permettevano di risparmiare inchiostro ed evitare sbavature al momento dell’impressione su carta.

Oggi, nonostante il medium sia evoluto, l’utilizzo virale dei sans serif è per alcuni giustificato nuovamente dall’estrema praticità nell’ecosistema digitale

Siamo tutti un po’ commossi.

2 – La semplificazione dei rebranding

La semplificazione, per alcuni, è un ottimo modo per uscire dalla propria nicchia, così da permettere di allargare il proprio bacino di utenza e ottenere un ampio richiamo. Si tratterebbe di un passo naturale che i marchi compiono man mano che evolvono da start-up in brand enormi e affermati.

C’è un motivo di fondo: il “volto” di un marchio definito all’inizio della propria scalata al successo, e che ha conquistato i suoi primi utilizzatori, può trasformarsi in un limite nel momento in cui si punta a maggiori entrate.

È in quest’ottica che l’obiettivo passa dal fare rumore e distinguersi all’essere l’amico fidato e affidabile: un amico too big to scream, semplice e senza fronzoli. 

3 – I grandi brand di oggi non hanno bisogno di un marchio (WHAT?!)

Hai notato che alcuni brand, quelli gruossi, certamente, hanno dato origine a verbi, parole, aggettivi? Quando effettui una ricerca online tu “googoli“, quando fai una foto bella diviene “instagrammabile” (ho i brividi), se vuoi un passaggio cerchi un “Uber“. 

Poiché alcuni brand hanno acquisito questo super potere sembra che oggi abbiano “meno bisogno” di un logo riconoscibile. A riprova di ciò, molti di questi marchi ora spendono nella progettazione di caratteri tipografici personalizzati anziché di loghi.

Le persone a capo di questi potenti marchi sanno che non sono più definiti dal loro logo, ma dal prodotto o servizio che forniscono.

Sono forti grazie a ciò che ti danno. Sono forti perché è a loro che pensi quando ti serve un determinato prodotto o servizio.

Insomma, sono forti perché, alle spalle, hanno decenni di branding fatto bene.

Perché fare rebranding o debranding dell’immagine senza una strategia a monte è inutile (e rischioso)

Sebbene possa sembrare una soluzione semplice per risolvere problemi di vendite o di altra natura, è importante capire che il rebranding dell’immagine è solo una parte dell’intero processo di branding: rifare il logo è una delle fasi “finali” del ristrutturare un brand.

Il branding strategico implica la comprensione dei valori, dei desideri e dei bisogni del proprio pubblico di riferimento, della propria USP e dei modi in cui l’azienda o il prodotto possono soddisfare queste esigenze. Insomma, è un lavoro strategico prima di tutto, e solo in un secondo momento operativo.

Solo quando questi fattori sono stati stabiliti, infatti, un’azienda può iniziare a (ri)costruire un’identità di marca forte e coerente che aiuti a (ri)connettersi con il proprio pubblico.

In soldoni, non c’è nulla di male nel desiderare che il proprio logo sia più semplice, migliore, mobile ready o abbastanza universale da interessare il più ampio pubblico possibile. Puntare alla semplicità e alla leggibilità è ottimo, ma mantenere le proprie caratteristiche distintive, anche nell’immagine che si ha, è pur sempre fondamentale.

Non dimenticare, infine, che il trend di cui si è parlato è guidato – e quasi esclusivamente rappresentato – da aziende con introiti veramente enormi e che “si reggono” su anni e anni di lavoro e studio sul proprio branding: per tutti gli altri potrebbe essere un rischio decidere di gettarcisi a capofitto solo perché “di moda”.

Se hai dei dubbi sulla scelta giusta da fare prenota un caffettino con un marketer di Larin Group.