I bias cognitivi in azione: i Dark Patterns

Cristiano Maretti

Cristiano Maretti

Nel loro libro del 2008 intitolato “Nudge“, Richard Thaler e Cass Sunstein sostengono che, nella realtà che ci circonda, non esiste una presentazione neutrale delle opzioni. Quando ci si trova davanti a una scelta, infatti, il modo in cui vengono presentate le alternative influisce inevitabilmente sulla risposta. Questo effetto è noto come framing effect ed è una delle ragioni per cui è sempre bene essere diffidenti, ad esempio, rispetto ai sondaggi, alle indagini di opinione, ma anche a studi scientifici che non presentano un certo rigore di metodo.

Se vi dicessimo “questa carne è per il 20% grassa” oppure “questa carne è per l’80% magra” il concetto sarebbe identico; tuttavia il nostro cervello farebbe una valutazione differente nei due casi, perché una frase utilizza un framing positivo, l’altra un framing negativo.

Estendendo questo concetto non solo alle domande, ma a intere esperienze utente, possiamo facilmente renderci conto che l’architettura delle informazioni, e il modo in cui esse sono proposte, possono decisamente influenzare la scelta finale degli utenti. Chi conosce questi meccanismi potrà usarli a fin di bene (come nel caso dei alcuni paesi europei che, nei moduli di consenso alla donazione degli organi, rendono il consenso l’opzione standard di scelta, e il dissenso l’opzione da dover spuntare – con uno sforzo cognitivo) oppure approfittarne per avvicinarsi al lato oscuro della forza del marketing, come nel caso dei dark patterns che stiamo per descrivere.

Ecco di cosa parleremo nell’articolo:

  1. L’architettura delle scelte nell’esperienza utente: quali sono gli elementi di un sito web, di un’app, o anche di un’esperienza offline, che subiscono gli effetti di un particolare framing?
  2. I bias cognitivi: i bias sono distorsioni delle valutazioni, dovute a pregiudizi e percezioni errate, e nascono nel nostro cervello per “semplificare” la realtà. Quali sono i più comuni e come ci spingono a fare scelte errate?
  3. I bias cognitivi in azione..i dark patterns:  una carrellata delle strategie usate dal lato oscuro del marketing per manipolare le decisioni degli utenti e spingerli verso comportamenti che potrebbero non essere nel loro interesse.

E connettiamo ‘sti puntini!

L’architettura delle scelte nell’esperienza utente

Partiamo innanzitutto dal concetto di architettura della scelta.
Quali sono gli “ingredienti” alla base di una scelta, quando ci troviamo di fronte a un sito, un’app, un’interfaccia o un’esperienza di qualsiasi genere?

I tasselli del puzzle sono principalmente testi, icone, immagini, e come questi elementi si combinano e si dispongono nello spazio (e in che successione lo fanno), in particolare:

Visual Design: lo stile visivo delle opzioni in un’interfaccia può influenzare le azioni che gli utenti compiranno. Un’opzione può essere più grande delle altre, posizionata in un punto in cui le persone sono più propense a guardare, o dotata di un particolare peso visivo. 

Interaction Design: la progettazione del flusso di interazione (cioè del modo in cui le persone interagiscono o navigano all’interno di un’interfaccia digitale o fisica) può indirizzare le persone verso una scelta. Un esempio perfetto è il rendere facile arrivare al checkout di un e-commerce (vi ricordate la famosa “regola dei 3 click”?), ma al tempo stesso rendere invece difficilissimo uscire dalla pagina di checkout. Lo stesso discorso è valido offline, ci basti pensare a quando siamo “obbligati” a passare per determinati percorsi (il labirinto dell’Ikea è il primo esempio che vi verrà in mente)

Linguaggio e copy: questa è facile: le parole che usiamo cambiano le scelte che gli utenti possono fare. Il testo è forse l’elemento che influisce di più sull’effetto framing, e che permette ad abili copywriter di vendere qualsiasi cosa.  Il copywriting sfrutta il potere delle parole, della struttura e del contesto per creare framing e influenzare il modo in cui un messaggio viene interpretato e recepito dal pubblico. Alcuni esempi?
La scelta delle parole: esse possono provocare emozioni positive o negative a seconda di quali vengano utilizzate.
La struttura del periodo: una frase affermativa o una frase negativa avranno effetti differenti sulla percezione del messaggio.
Ma anche l’ordine delle informazioni, la presenza di un contesto al quale ancorare i concetti, o anche l’utilizzo di storie, metafore…tutto contribuisce a influenzare in qualche modo la scelta dell’utente.

Singoli elementi dell’interfaccia: gli elementi dell’interfaccia utilizzati nella presentazione delle scelte limitano, oppure espandono, le opzioni disponibili. Quando pongo un utente di fronte a una scelta, posso decidere se fargli selezionare una singola risposta tra più opzioni, oppure se inserire un campo libero, o ancora se fargli spuntare delle caselle di controllo chiedendogli di spuntare tutte le risposte corrette.
I progettisti dell’informazione, dunque, stanno letteralmente decidendo cosa è possibile selezionare, e le modalità con cui farlo, limitando la capacità decisionale dell’individuo e costringendolo a giocare al proprio gioco.

I Bias cognitivi

Una volta conosciuti gli elementi che influenzano il processo di scelta, andiamo ora a scoprire insieme i meccanismi ancestrali che permettono che questo accada: i bias cognitivi.
Distorsioni della valutazione basate su preconcetti, i bias cognitivi sono instillati nel nostro cervello praticamente da sempre, in quanto risultato dell’evoluzione dell’essere umano alla necessità di adattarsi e prendere decisioni sempre più veloci.

L’avversione alle perdite

Di seguito, una definizione estremamente filosofica (ci piace un sacco) di avversione alle perdite:
Le persone sentono il dolore delle perdite più intensamente di quanto sentano la gioia di un guadagno. 

Il bias dell’avversione alle perdite prevede che le perdite abbiano un peso più elevato dei guadagni, quando ci si trova davanti a una scelta.
In altre parole, se presentiamo la stessa scelta in termini di guadagno oppure di perdita il risultato sarà diverso.

Di fronte a una scommessa, perdere 50 euro ci fa sentire molto più male di quanta gioia ci darebbe vincere 50 euro (gli studi dicono ben il 2.5x).

È per colpa di questo bias che preferiamo quasi sempre scegliere lo yogurt “80% fat free” piuttosto che uno yogurt “20% fat” nonostante il concetto sia equivalente.

Spesso infatti agiamo irrazionalmente per paura di perdere, perché il nostro cervello è progettato per farlo. Quella stessa paura può essere utilizzata nella presentazione delle scelte per spingere gli utenti ad agire in modo da minimizzare il disagio emotivo che sentono quando si confrontano con la possibilità di una perdita.

Concentrare, ad esempio, un testo sulla possibilità di una perdita rende le persone più propense a cambiare la loro scelta. Il classico esempio, stra-abusato in ogni salsa, è l’utilizzo del concetto di scarcity in modo negativo, tipo: 

“Hai l’ultima occasione per comprare il prodotto X a questo prezzo, che non tornerà mai più”

oppure

Non perdere l’opportunità di risparmiare XXX sull’acquisto di questo prodotto, da domani il prezzo tornerà quello pieno, dell’80% più elevato”.

Creazione di scarsità e urgenza artificiale

Gli economisti spesso dicono che la scarsità alimenta la domanda. Percepiamo gli oggetti rari e le offerte a tempo limitato come più preziosi. Limitare il tempo disponibile per prendere una decisione richiede all’utente un’azione immediata, e lo rende maggiormente irrazionale ed emotivo, non dandogli la possibilità di valutare effettivamente pro e contro della scelta.
La creazione di scarsità cambia l’architettura della scelta: invece di scegliere di provare un servizio o di lasciar stare e uscire dalla pagina (o dal negozio), l’utente deve ora scegliere di accettare o rifiutare uno sconto a sorpresa, con una pressione psicologica non indifferente che non gli permetterà di effettuare necessariamente la migliore decisione per lui.

Effetto Carrozzone

L’effetto bandwagon, noto anche come “effetto carrozzone“, è un fenomeno sociale in cui le persone tendono ad adottare un certo comportamento o credenza semplicemente perché molte altre persone lo fanno, indipendentemente dalla validità o dalla logica di tale comportamento o credenza. In sostanza, le persone si uniscono al “carrozzone” perché vedono che molte altre persone lo stanno facendo, spesso percepito come un segno di accettazione sociale o di conformità.

Avete mai visto siti internet che presentano banner in basso che ci tengono a farvi sapere che anche “Tizio da Roma ha appena effettuato l’acquisto” (nel mio caso direi: “E ‘sticazzi!?”)? Oppure, vi siete mai chiesti perché è così diffusa la pratica di acquisto di follower falsi sui profili social?
La risposta è nell’effetto carrozzone!

Bias di conferma

Il bias di conferma è un fenomeno cognitivo in cui le persone tendono a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in modo selettivo in modo da confermare le loro convinzioni preesistenti o le loro aspettative. In altre parole, le persone sono inclini a cercare evidenze che supportino ciò in cui credono già e ad ignorare o sminuire le prove contrarie (della serie, metodo scientifico spostati proprio).

Questo bias può influenzare il modo in cui percepiamo il mondo, le decisioni che prendiamo e come valutiamo le informazioni. Può creare una sorta di “bolla” in cui le persone sono esposte principalmente a opinioni e informazioni che confermano le loro convinzioni, restringendone la visione complessiva e impedendo loro una valutazione obiettiva dei fatti.
La diffusione delle fake news sui social media è un esempio perfetto di confirmation bias: le fake news sono “sapientemente” veicolate proprio verso le persone più propense a credere a quelle notizie, ovvero quelle che non si impegneranno mai in un fact-checking e alimenteranno così una camera dell’eco.

Effetto ancoraggio

L’effetto ancoraggio è un fenomeno cognitivo in cui le persone tendono ad affidarsi e fare valutazioni basate su un valore iniziale o un punto di riferimento (ovvero l’”ancora”) che viene loro presentato, anche se quel valore può essere arbitrario o non rilevante per la decisione effettiva. In sostanza, l’ancoraggio influisce sul modo in cui le persone valutano le informazioni successive o i prezzi, portando a giudizi distorti.

Nel marketing, l’effetto ancoraggio può essere utilizzato per influenzare le decisioni d’acquisto dei consumatori manipolando il punto di riferimento iniziale che viene loro presentato.

Immaginiamo che un negozio di elettronica stia promuovendo un televisore. Normalmente, quel televisore viene venduto a 1000 euro. Tuttavia, il negozio decide di utilizzare l’effetto ancoraggio per influenzare i consumatori. Nel loro annuncio pubblicitario, mostrano il televisore a un prezzo iniziale di 2000 euro, sottolineando che è uno sconto del 50% e che il nuovo prezzo è di soli 1000 (ci ricorda qualcosa di illegale che spesso accade durante i saldi, vero?).

Nonostante il prezzo di 2000 iniziale sia arbitrario e non rappresenti il valore reale del televisore, l’effetto ancoraggio può indurre i consumatori a percepire il prezzo di 1000 come un affare eccezionale. Il punto di riferimento dell’ancoraggio influisce sulla percezione del prezzo e fa sembrare il prezzo effettivo di 1000 più ragionevole e conveniente.

Nel marketing, l’effetto ancoraggio può essere utilizzato anche in altre situazioni, come ad esempio nella presentazione di opzioni di prezzo nel menu di un ristorante o nella fase di contrattazione di un acquisto. Nel presentare un prezzo iniziale elevato o in una fase iniziale della negoziazione, si crea un ancoraggio che può influenzare le aspettative e le decisioni successive: l’esempio più classico è quello del menù del fast food che presenta la bibita intermedia come economicamente sconveniente rispetto a quella più grande.
Oppure possiamo parlare di un ancoraggio “storico” come quello legato al prezzo dei diamanti di fidanzamento, che “devono” costare 1-3 stipendi della persona che li compra (a proposito, sapevi che il valore dei diamanti è soltanto il risultato della più grande campagna di marketing della storia, e potrebbero costare molto molto meno?).

Bias cognitivi in azione…i dark patterns

Abbiamo capito che il modo in cui le informazioni vengono presentate fa tutta la differenza del mondo, venendo a conoscenza del framing effect. Siamo poi passati all’analisi dei principali tipi di bias che ingannano il nostro cervello, rimasto sostanzialmente lo stesso di quando eravamo scimmie.
Veniamo ora al punto dell’articolo con una carrellata di dark patterns in azione, sperando che riconoscerne qualcuno ci aiuti a navigare meglio attraverso le insidie del web (e senza farci attrarre e sprofondare come i marinai con le sirene):

Trick Question

Questo pattern si basa tipicamente sul far rispondere l’utente a una domanda o far spuntare una casella che, per come è stata progettata, è confusa e poco chiara

Gli utenti finiscono così per eseguire azioni che non avrebbero mai voluto fare.

Forced continuity

Si verifica, ad esempio, quando viene chiesto di fornire i dati di pagamento per un Free Trial o per un servizio web, ma il sito non indica in modo esplicito che l’abbonamento si rinnova automaticamente, o rende molto difficile annullare il rinnovo automatico

Una volta terminata la prova gratuita, l’addebito viene effettuato. Nessun reminder, nessuna indicazione chiara per annullare l’addebito imminente. La forced continuity sfrutta la tendenza dell’essere umano a non voler scegliere: li cervello umano tende a risparmiare energia e a voler fare la scelta migliore minimizzando lo sforzo del processo decisionale, è per questo che si lascia guidare dai bias.

Confirmshaming

Questo pattern si basa sul sentimento della vergogna. “Umilia” e mette in imbarazzo l’utente cercando di costringerlo a fare qualcosa, facendo leva su emozioni negative.

Disguised ads

Un tipo diffuso di dark pattern che si può trovare durante la navigazione sono gli annunci mascherati (disguised ads). Lo scopo di questi annunci è quello di fondersi con il sito web, l’app o qualsiasi altro mezzo di informazione, al fine di adattarsi alla forma e alla funzione della piattaforma in cui appare.

In questo screen di Pinterest, riesci a distinguere le pubblicità dalle immagini caricate dagli utenti?

Gli annunci mascherati possono essere considerati un sottogenere della pubblicità di tipo native advertising, cioè quella che viene integrata in modo coerente con il contenuto del mezzo in cui viene visualizzata; questo accade quando le aziende promuovono i loro prodotti utilizzando il proprio mezzo di comunicazione. Una delle forme più diffuse di un annuncio mascherato è un pulsante di download, che viene posizionato all’interno della sezione di download di un sito web. Quante volte vi sarà capitato di cliccare su un pulsante che credevate servisse al download, e vi siete ritrovati inondati di pop-up e pagine del browser aperte?

Roach Motel (“Motel di Scarafaggi”)

L’obiettivo di questo pattern è quello di rendere l’accesso a una determinata situazione estremamente facile per l’utente, ma allo stesso tempo rendere estremamente complicato uscirne. Le aziende spesso utilizzano questo tipo di dark pattern per gli abbonamenti premium: la possibilità di cancellare questi abbonamenti in modo semplice e veloce, infatti, è solitamente nascosta e integrata nel sito in modo poco intuitivo per l’utente. Un esempio? Ci basti pensare a un famoso provider di pay tv, o ai contratti telefonici italiani dalle burocrazie infinite (e voi, l’avete mai spedito indietro quel modem Alice ADSL con tanto di lettera di disdetta firmata o state ancora pagando 2 euro al mese da vent’anni?).

Opzione di default

Il bias dell’opzione di default è un fenomeno cognitivo in cui le persone tendono a mantenere l’opzione preimpostata o suggerita come loro scelta, anche se hanno la possibilità di fare diversamente. Questo bias, come abbiamo accennato nel paragrafo dedicato alla forced continuity, si basa sulla tendenza delle persone a evitare sforzi cognitivi aggiuntivi nella presa di decisioni e ad adottare la via più semplice o quella che richiede meno impegno.

In questo contesto, le opzioni impostate come predefinite hanno una maggiore probabilità di essere scelte rispetto ad altre alternative. Questo può essere influenzato dalla presentazione delle opzioni, dalle impostazioni suggerite o dal modo in cui vengono presentate le scelte.

L’effetto del bias dell’opzione di default può essere sfruttato nel marketing e nella progettazione delle interfacce utente per influenzare il comportamento delle persone. Ad esempio, un negozio online potrebbe impostare l’opzione di spedizione più costosa come predefinita, facendo sì che molti clienti optino per quella senza nemmeno considerare le altre opzioni più economiche. Allo stesso modo, una piattaforma di social media potrebbe impostare le impostazioni di privacy in modo da rendere pubbliche alcune informazioni dell’utente, facendo sì che molti utenti mantengano le impostazioni predefinite senza sapere che stanno spiattellando ai quattro venti ogni loro singolo dato (alla faccia della privacy).

Il bias dell’opzione di default può portare a scelte automatiche e non riflessive, poiché le persone tendono ad accettare ciò che viene presentato come predefinito senza analizzare a fondo le alternative disponibili.

Dark patterns… conoscerli per evitarli

I dark patterns possono assumere diverse forme, talmente tante che (rispetto a quanto abbiamo visto) sicuramente ne mancano ancora moltissime all’appello. Queste vere e proprie pratiche sleali sollevano importanti questioni etiche e mettono in discussione l’integrità delle interazioni digitali… e non solo: gli stessi fenomeni si possono incontrare nella vita di tutti giorni, e i non addetti ai lavori spesso li bollano come “trucchetti di marketing”.

Per questi motivi è fondamentale che chi progetta esperienze e in generale tutte le aziende adottino un approccio etico al design. Dovrebbero essere promossi standard di progettazione incentrati sull’utente e basati sulla chiarezza, sulla trasparenza e sulla possibilità di scelta consapevole.
Solo attraverso l’educazione, la consapevolezza e la promozione di una progettazione etica possiamo creare un ambiente digitale più trasparente, equo e rispettoso degli utenti.