Il mondo dell’advertising, a volte, mostra il lato più creativo dell’uomo. E in un mondo sempre alla ricerca di stimoli, di novità e di intrattenimento, anche fare pubblicità diventa una sfida.
Stupire, però, non è a volte sufficiente.
Motivo per cui le big companies cercano un modo per scioccare o addirittura “traumatizzare” gli utenti.
Sono impazziti? Assolutamente no.
È SHOCKVERTISING, baby!
Ready a connettere ‘sti puntini?
Che cos’è lo shockvertising
Il termine “shockvertising” nasce dalla fusione delle parole “shock” e “advertising”. Facile dunque capirne il significato: si tratta di un tipo di pubblicità che ha lo scopo di attirare l’attenzione dell’utente in maniera decisa, forte, arrivando al punto di scioccarlo.
Questo tipo di adv si esplicita in messaggi controversi e disturbanti, che fanno leva sui grandi tabù della società moderna (sesso, morte, malattia, violazione delle norme sociali ecc.) per provocare una reazione forte in chi li osserva.
La capacità di attirare l’attenzione rende lo shockvertising uno strumento particolarmente utile nelle campagne delle associazioni non-profit. Pensiamoci: quante volte ci è capitato di vedere una pubblicità che mostra bambini ammalati, malnutriti e bisognosi di cure? Ecco, quello è l’esempio più comune di questa tecnica pubblicitaria.
Ancora, lo shockvertising è utilizzato direttamente sui pacchetti di sigarette che mostrano, con immagini estremamente forti, quali potrebbero essere gli effetti di lungo corso del tabagismo.
A cosa serve (veramente) lo shockvertising
Come abbiamo detto, questa tecnica viene utilizzata per scioccare il destinatario.
E non solo.
Uno studio del Georgetown University Medical Center del 2016, infatti, ha mostrato come gli elementi sconvolgenti di questo tipo di pubblicità possano contribuire a una migliore memorizzazione del messaggio. Lo studio ha dimostrato, tramite scansioni cerebrali, che la visualizzazione di immagini grafiche anti-fumo sui pacchetti di sigarette innescano l’attività nelle aree del cervello coinvolte nelle emozioni, nel processo decisionale e nella memoria; tali aree, in particolare, sono l’amigdala e la corteccia prefrontale.
Grazie allo shockvertising, dunque, è possibile non solo attirare l’attenzione dello spettatore, ma anche innescare in lui delle emozioni che lo possano portare a memorizzare il messaggio e, eventualmente, prendere una determinata decisione.
I 2 tipi di shockvertising: yobbo advertising e fear arousing appel
Come spesso capita nel mondo del marketing, il shockvertising si divide in due tipologie di pubblicità: lo yobbo advertising e il fear arousing appeal. Sempre paroloni in inglese… vediamo di cosa si tratta.
Yobbo advertising
Questo tipo di shockvertising cerca di impressionare il target provocandolo oppure allarmandolo. Le immagini utilizzate sono quelle che suscitano disgusto, che violano le convezioni morali e i tabù della società, oppure che hanno riferimenti sessuali espliciti: l’utente, in questo modo, è portato a comprendere autonomamente i motivi che hanno spinto l’inserzionista a scegliere quelle immagini, e la memorizzazione del messaggio gli risulterà (inconsciamente) più semplice.
Esempi di yobbo advertising sono quelli, precedentemente citati, delle associazioni non-profit; in questi casi, infatti, si mostrano stati di estrema sofferenza e disagio, ad esempio persone malate oppure bambini denutriti.
Fear arousing appel
Letteralmente “appello alla paura”, il fear arousing appeal fa leva sulle conseguenze negative di comportamenti rischiosi. In questo caso si punta a disincentivare le persone a compiere azioni pericolose mostrando messaggi che suscitino angoscia e paura; non è un caso, dunque, che il FAA venga utilizzato molto spesso nelle pubblicità progresso volte a disincentivare, ad esempio, l’uso di alcool e droghe.
Il rischio principale di questo tipo di shockvertising è che gli utenti non accettino il messaggio con senso critico, arrivando a definirlo esagerato e creando una polemica (anche social) che potrebbe risultare controproducente.
Anche la strategia vuole la sua parte
Come ogni altra cosa nel mondo della comunicazione, anche lo shockvertising non può essere fatto alla carlona (per usare un termine nobile).
Non ci stancheremo mai di dirlo: è fondamentale pensare a ogni minimo dettaglio, definendo una strategia completa e a 360°. Nello specifico, per creare una campagna di shock advertising efficace bisogna:
- Definire il target di riferimento: come ogni altro tipo di pubblicità, il primo step è definire il target del messaggio. Questo permette anche di comprendere meglio quali dovranno essere le tematiche e le modalità con le quali affrontarle attraverso lo shockvertising, che a loro volta permetteranno al target di rispondere positivamente alla “provocazione”.
- Indicare l’obiettivo: trovato il target di riferimento, è fondamentale avere bene a mente qual è l’obiettivo della pubblicità; questo, infatti, deve essere coerente con il messaggio che si vuole veicolare e, oltre ad avere una rilevanza sociale, dovrà ovviamente essere utile anche a livello aziendale.
- Essere onesti: come spesso capita, le aziende “predicano bene e razzolano male”. Per lo shockvertising è lo stesso: il messaggio dovrà essere coerente con l’identità dell’azienda, con la sua mission e con le sue attività; in caso contrario, il pubblico se ne accorgerà (e non sarà per nulla clemente).
- Scegliere i testimonial giusti: la semplice notorietà non basta. Se uno shockvertise prevede la partecipazione di un testimonial, è fondamentale che questo sia impegnato in attività (anche sociali) in linea con il messaggio della campagna.
- Innovare: il fatto che una determinata campagna di shockvertising funzioni, non significa che lo farà a ripetizione. È importante trovare messaggi sempre nuovi, capaci di stupire; ripetere lo stesso messaggio, modificandolo appena, rischia di abituare il pubblico a quel tipo di comunicazione, distogliendone l’attenzione e riducendo la portata del messaggio.
Alcuni esempi di shockvertising
Prima di salutarci, siamo arrivati al momento che personalmente preferisco di più, cioè quello degli esempi sul campo.
Senza filtri né commenti…
Shockvertising sì, shockvertising no
Lo shockvertising si presenta come una strategia pubblicitaria estremamente controversa ma, se prodotta in modo corretto, perfettamente efficace nel catturare l’attenzione e lasciare un’impressione duratura sul pubblico. Abbiamo visto come, attraverso l’uso di messaggi controversi e disturbanti, questa forma di advertising favorisca una migliore memorizzazione del messaggio pubblicitario, influenzando così le decisioni e i comportamenti degli individui.
E gli esempi che vi abbiamo mostrato, secondo noi, ne solo la prova provante.
Ciononostante, è comunque importante considerarne le possibili conseguenze negative: l’uso eccessivo di immagini scioccanti, infatti, potrebbe essere percepito come esagerato o manipolativo, portando a reazioni opposte a quella desiderata.
Per evitare che questo accada, è fondamentale sviluppare una strategia completa e ben definita. E, guarda caso, noi Lariners siamo qui anche per questo!
Fai un fischio e arriviamo.
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Titolo: Shockvertising – Quando la pubblicità supera i limiti
Alt text: Un articolo sullo shockvertising, una forma di annuncio molto forte, che supera i limiti (spesso anche troppo).