Marketing fails: un’analisi di 4 casi passati alla storia e come evitarli

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Giovanni Lucatello

Cercando la giusta massima per iniziare questo articolo, come spesso capita è stato il buon Confucio a venire in aiuto.

“Chi conosce tutte le risposte non si è fatto tutte le domande”, diceva il filosofo cinese.

Capita spesso, infatti, che i creativi delle campagne pubblicitarie per aziende multinazionali (social media manager, copywriter, grafici che siano) facciano il passo più lungo della gamba: pensano di conoscere il proprio pubblico e i loro gusti, rilasciando campagne che finiscono in un clamoroso fallimento.

O fail, per dirla in modo internazionale.

I casi di campagne di marketing fallimentari passati alla storia sono tantissimi, e sicuramente continueranno a crescere. Per questo articolo, però, ho deciso di parlare di 5 case study in particolare, notissimi o meno, ciascuno caratterizzato da un mix di errori peculiari: vediamoli insieme e capiamo cosa è stato sbagliato.

Connetti ‘sti puntini!

Pepsi vs Coca-Cola: quando la tua ironia ti si ritorce contro

Come per Nike vs Reebok, McDonald’s vs Burger King, Nintendo vs Sega, Microsoft vs Apple o Ford vs Chevrolet (per citarne alcune), quella tra Pepsi e Coca-Cola è una rivalità ben nota.

Nel corso degli anni non sono mancate frecciatine, campagne ironiche e interventi sui social media volti ad alimentare una competizione che piace moltissimo anche ai fan di entrambe le companies.

Ed è proprio anche grazie all’intervento di alcuni fan che, in occasione di Halloween del 2013, una (all’apparenza geniale) pubblicità di Pepsi si è trasformata in un’enorme vittoria per Coca Cola.

Ma partiamo dall’inizio, ovvero questa immagine.

Ti auguriamo uno spaventoso Halloween”. Pepsi, con questa simpatica immagine, gioca sul fatto che ad Halloween (di norma) ci si traveste da creature spaventose: in questo caso, la creatura spaventosa è Coca-Cola (anzi, Cola-Coca, per evitare problemi legali), vestita come un mantello da una lattina di Pepsi.

In poco tempo, l’immagine diventa virale sia su Facebook che su Twitter, raggiungendo (secondo i dati forniti da digitalinsighter.com) oltre 24mila condivisioni e un reach di 65 milioni di persone. Il messaggio è relativamente semplice: la Coca Cola è popolare, pensi di essere un suo fan, ma in realtà vorresti una Pepsi.

La battaglia sembrava vinta ma, come spesso capita, questo era solo l’inizio. Infatti, se da una parte i fan di Pepsi hanno iniziato a lodare la campagna come geniale, i Coca-Cola lovers hanno messo in campo tutta la loro creatività per rispondere a questa specie di provocazione.

Come si dice in gergo, si sono triggerati.

Tra tutte le immagini proposte dai fan di Coca-Cola, una in particolare attira l’attenzione dell’azienda, che decide (dopo avere evitato di rispondere a modo suo) di sistemare l’immagine del fan e proporre una sua versione in glorioso full HD.

A parte aver tagliato l’immagine per eliminare logo e messaggio di Pepsi, i cambiamenti sono soltanto due: la sostituzione del logo Pepsi con quello Coca-Cola e l’aggiunta del claim Chiunque vuole essere un eroe”.

Neanche a dirlo, Coca-Cola ha vinto tutto.

L’azienda, infatti, ha rivolto l’arma di Pepsi contro se stessa: quel messaggio semplice, diretto, graficamente divertente (il mantello diventa quello di un supereroe) pensato dall’azienda era stato facilmente modificato (anche grazie all’aiuto dei fan) in favore di Coca-Cola.

In questo caso, gli errori commessi da Pepsi sono stati principalmente due.

Da una parte, menzionare il competitor diretto non è stata la scelta migliore. Tralasciando eventuali problemi legali nei quali avrebbero potuto incorrere (evitati grazie alla scritta Cola-Coca sul mantello), il messaggio era quasi di critica indiretta al concorrente, trasformati in un apprezzamento della propria eccellenza da Coca-Cola.

Un secondo errore di Pepsi riguarda l’aver sottostimato (o completamente ignorato) le possibili risposte da parte dei brand advocates di Coca-Cola: questi, ovviamente, hanno fatto di tutto per difendere il proprio idolo, e il risultato è stato per certi versi sbalorditivo.

Burger King e lo “Shockvertising” su Twitter

Nell’ambito del marketing, il Re degli Hamburger ha una storia molto controversa: a campagne di forte impatto e grande successo si accodano casi di epic marketing fails (e alcune volte anche in ambito di prodotto).

Tra i fallimenti più eclatanti rientra sicuramente il thread di Twitter “costruito” dalla divisione britannica di Burger King durante la Giornata Internazionale della Donna nel 2021. Il primo Tweet recitava: “Le donne appartengono alla cucina”; i due Tweet che seguivano, tuttavia, andavano a precisare e contestualizzare quanto detto in precedenza.

Qui il post completo:

La scelta comunicativa di Burger King UK rientra in quello che viene chiamato “shockvertising”: un tipo di réclame capace di creare un forte impatto emotivo nei destinatari, ad esempio grazie al tipo di messaggio, il suo copy, la grafica utilizzata.

L’intento dei social media manager inglesi era evidentemente questo: catturare l’attenzione dei lettori, che poi avrebbero comunque letto il resto del Thread e compreso il senso del messaggio. Peccato che, come si vede anche dai commenti, retweet e like dei messaggi successivi, molti utenti non abbiano mai superato il primo Tweet, con un contraccolpo che non tardò ad arrivare.

Burger King UK fu accusata da più parti di sessismo e, in risposta ai commenti di protesta, decise di cancellare il Tweet originale; fatto questo, chiese scusa per quanto fatto e cercò di spiegare quale messaggio avrebbero voluto veicolare.

In questo caso, Burger King UK ha fatto un uso eccessivo e poco ponderato del shockvertising (misto a un pizzico di clickbait sessista). L’intenzione era sicuramente quella di attirare l’attenzione, ma farlo in questo modo e su Twitter non è stata la scelta migliore. Il solo fatto che, a meno che non si prema sul Tweet, non sia possibile vedere il Thread completo (che rimane dunque nascosto), dimostra come Twitter non fosse in questo caso il social più adatto a quel tipo di messaggio.

In più, come fatto notare sempre su Twitter da alcuni utenti, il messaggio avrebbe avuto un significato diverso e subito evidente anche solo lasciando tutto il testo nello stesso Tweet. Insomma, a volte anche la sola formattazione di un messaggio può cambiarne completamente il significato, evitando un contraccolpo mediatico simile a quello subito da Burger King UK.

Airbnb e la newsletter fuori luogo tempo

Il 28 agosto del 2017, gli iscritti ricevono la consueta newsletter di Airbnb.

L’oggetto: Floating homes, waterfall slides, & more reasons to travel (Case galleggianti, scivoli a cascata e altri motivi per viaggiare).

Peccato che, proprio in quel periodo, sulla Louisiana e nel sud-est del Texas stia imperversando l’uragano Harvey: un evento climatico che, tra il 17 agosto e il 3 settembre dello stesso anno, causerà la morte di 9 persone e più di 30mila sfollati.

Il danno d’immagine fu subito evidente, alimentato dai Tweet e dai post di indignazione verso la compagnia. Le scuse di Airbnb non tardarono ad arrivare: la compagnia riconosceva (ovviamente) l’infelice tempistica della campagna di email marketing, oltre a dimostrare la propria solidarietà e impegno nei confronti delle popolazioni colpite.

In questo caso l’errore nell’invio della newsletter sbagliata al momento sbagliato deriva probabilmente da “un’eccessiva” programmazione e da uno scarso controllo sulle prossime pubblicazioni. Per ogni tipo di contenuto, sia questo un’email, un post, un articolo di blog ecc., è importante non dimenticare che fuori dalle mura dell’ufficio (o di casa, se lavori in smart come qui in Larin) esiste un mondo in costante mutamento

Sempre più spesso, dunque, diventa fondamentale tenere sotto controllo le pubblicazioni e i loro contenuti, in modo da evitare errori come quello compiuto (sicuramente in buona fede) da Airbnb.

Pandora: una campagna natalizia di poco gusto

Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale PANDORA. Secondo te cosa la farebbe felice?”.

Già posta in questo modo, questa frase potrebbe far storcere il naso a chiunque. Se poi si tratta di una campagna pubblicitaria natalizia di Pandora del 2017, la polemica è inevitabile.

Della campagna marketing integrata fatta di comunicazioni sui giornali, spot in televisione, post nei social e affissione nei luoghi pubblici, proprio una di queste ultime è diventata subito virale: fotografata nientemeno che nella Metro di Milano, dove passano in media 900mila persone al giorno, l’immagine che ti abbiamo mostrato è stata al centro di furiose polemiche, con accuse di sessismo, maschilismo tossico e incitamento al patriarcato rivolte alla compagnia danese di gioielli.

Pandora ha voluto replicare a tutte queste accuse non solo scusandosi, ma anche spiegando quello che nelle loro intenzioni doveva essere il messaggio veicolato da questa specifica affissione. Nello specifico, Pandora voleva “strizzare l’occhio ad alcuni stereotipi” conosciuti da tutti in modo ironico e giocoso, non offensivo.

In più, l’azienda ha fatto presente come l’affissione nella Metropolitana di Milano fosse soltanto uno dei punti di contatto di una campagna integrata molto più larga e che, per questo motivo, il messaggio stesso sia stato decontestualizzato e male interpretato.

Nonostante i risultati comunque positivi a livello di visibilità ottenuti da Pandora (14 milioni di utenti raggiunti tra Facebook e Twitter), gli errori commessi dall’azienda sono molteplici. Nello specifico:

  • il problema del target: il destinatario della campagna non era la classica Pandora Lover, quella che vive la community e partecipa attivamente, bensì i loro compagni e/o amici. L’errore, dunque, è stato quello di focalizzarsi su un target “estraneo”, trascurando quello principale;
  • il copy del messaggio: sebbene l’intento del messaggio fosse giocoso e ironico, la possibilità di fraintendimento era dietro l’angolo; in più, basarlo su uno stereotipo (maschile) ha contribuito a rovinarne il significato. In questo caso i creativi di Pandora avrebbero dovuto fare più attenzione, pensando le parole anche in riferimento al proprio target di riferimento;
  • la gestione della crisi: da messaggi, post, mail e articoli di blog rilasciati da Pandora nelle ore e nei giorni successivi sembra essere mancata una vera e propria pianificazione nella risposta: prima hanno provato spiegare qual era il senso della campagna alle Pandora Lovers, poi hanno rilasciato delle scuse generali, da donna a donna. Come riportato da Inside Marketing, tuttavia, in nessun caso l’azienda ha interagito direttamente con gli utenti.

Giusto per mostrarti come altri brand hanno colto la palla al balzo per fare un po’ di ironia partendo da questo scivolone, ecco l’esempio di Taffo Funeral Services:

Come evitare fallimenti nelle campagne di marketing: l’importanza dell’analisi e della pianificazione

La forma del messaggio, le scelte grafiche, le tempistiche, i copy, i target…

Ciascuno degli case study (o meglio, dei marketing fails) trattati nei paragrafi precedenti ci mostra come delle campagne a prima vista giocose e/o interessanti possano essere facilmente fraintese. Le conseguenze, oltretutto, possono andare oltre il semplice fallimento della campagna, arrivando a contraccolpi sulla brand image non indifferenti.

Esiste un modo per evitare a priori questi errori: le campagne e le strategie di marketing devono essere pianificate con cura, in ogni loro aspetto. Solo così potrai veicolare il messaggio nel modo desiderato, nel modo corretto e verso il target al quale vuole essere rivolto.

E i Lariners sono qui per contribuire al tuo successo. Fidati, altrimenti la tua prossima strategia di marketing fallirà (shockvertising ovviamente, ma dai comunque una letta all’articolo!).

Se hai un’idea e vuoi trasformarla in una campagna marketing con i fiocchi, trovi il form contatti qui.